Negli ultimi giorni è proseguita la debolezza dei derivati sul greggio, che risultano essere evidentemente appesantiti dall’ininterrotto aumento delle attività di estrazione negli Stati Uniti, certificato dall’ultimo aggiornamento di Baker-Hughes: un simile scenario non può – come temuto – che rendere meno efficaci i tagli produttivi decisi dall’OPEC e dagli altri produttori esterni al Cartello nel corso degli ultimi incontri.
In altri termini, i derivati sul greggio continuano a ripiegare a causa dell’ininterrotto aumento delle attività di estrazione negli USA che di fatto sta compensando ampiamente i tagli all’offerta messi a punto dai Paesi OPEC, insieme a molti esportatori fuori dal Cartello, come la Russia. La statistica a cura di Baker-Hughes segnala un aumento di 6 trivelle attive sul suolo USA (a 747 dal precedente 741) nell’ultima settimana, confermando così il quadro di fondo.
Il riflesso sulle quotazioni del greggio è stato immediato, considerato che il Brent è quotato attorno ai 46,9 dollari al barile e il WTI sui 44,6 dollari al barile, sui minimi livelli da sette mesi a questa parte, nonostante gli sforzi sopra anticipati. A pesare sono inoltre ancora gli effetti delle pubblicazioni EIA che hanno confermato l’eccesso di offerta rispetto alla domanda globale. Il report periodico pone forti dubbi sull’efficacia dei recenti tagli OPEC mettendo per di più in evidenza un aumento della produzione da parte dei paesi non-OPEC.
Per questo motivo, gli analisti ritengono che le quotazioni del greggio riprenderanno a salire solo marginalmente nei prossimi trimestri, e che per il 2018 non occorra attendersi quotazioni medie al barile superiori ai 51-52 dollari.